La sfida della cultura

Nei giorni scorsi nelle pagine di Agorà del quotidiano Avvenire si poteva leggere un intervento di Stefano Zamagni così titolato “La vera sfida per l’Europa è nella democrazia culturale”, argomento importante e di cui abbiamo spesso accennato in queste riflessioni.

La rivista dell’Università Cattolica di Milano, Vita e Pensiero, ha dedicato parte dei suoi ultimi tre fascicoli al tema dell’egemonia culturale con interventi di personalità diversamente orientate.

Sul piano più strettamente divulgativo Galli della Loggia, sul Corriere, ha recentemente cercato di ridare dignità al tema del conservatorismo mentre Antonio Socci su libero ha invitato la destra ora al governo a non percorrere, sul tema della cultura, le strade della sinistra.

Infine, Giuseppe de Rita, sempre sul Corriere ha lamentato l’assenza di un dibattito reale sui temi che riguardano la vita del nostro paese.

La contemporanea apparizione del tema cultura su diversi media mi ha fatto tornare alla memoria il magistrale intervento (una vera e propria piccola enciclica) che nell’ormai remoto anno 1980 Giovanni Paolo II tenne a Parigi nella sede dell’Unesco, l’organismo delle Nazioni unite per la Cultura l’Educazione e la Scienza. Qui il pontefice santo affermò con forza la centralità dell’uomo come soggetto della cultura: “L’uomo vive di una vita veramente umana grazie alla cultura. La vita umana è cultura nel senso anche che l’uomo si distingue e si differenzia attraverso essa da tutto ciò che esiste per altra parte nel mondo visibile: l’uomo non può essere fuori della cultura. La cultura è un modo specifico dell’«esistere» e dell’«essere» dell’uomo.

L’uomo vive sempre secondo una cultura che gli è propria, e che, a sua volta, crea fra gli uomini un legame che pure è loro proprio, determinando il carattere inter-umano e sociale dell’esistenza umana. Nell’unità della cultura, come modo proprio dell’esistenza umana, si radica nello stesso tempo la pluralità delle culture in seno alle quali l’uomo vive. In questa pluralità, L’uomo si sviluppa senza perdere tuttavia il contatto essenziale con l’unità della cultura in quanto dimensione fondamentale ed essenziale della sua esistenza e del suo essere.”

Più avanti ribadirà che “il compito primario ed essenziale della cultura in generale e anche di ogni cultura, è l’educazione” e i luoghi prioritari dell’educazione sono la famiglia e la nazione. ”La nazione è in effetti la grande comunità degli uomini che sono uniti per diversi legami, ma, soprattutto, dalla cultura. La nazione esiste «mediante» la cultura e «per» la cultura, ed essa è dunque la grande educatrice degli uomini perché essi possano «essere di più» nella comunità. Essa è quella comunità che possiede una storia che sorpassa la storia dell’individuo e della famiglia. E’ anche in questa comunità, in funzione della quale ogni famiglia educa, che la famiglia comincia la sua opera di educazione nella cosa più semplice, la lingua, permettendo così all’uomo che è ai suoi primi passi, d’imparare a parlare per diventare membro della comunità che è la sua famiglia e la sua nazione”.

Si sente in queste parole l’esperienza storica del Papa e della sua nazione polacca, ma a ben vedere siamo di fronte a un richiamo che può aiutare anche la comprensione delle vicende contemporanee.

L’evidente crisi delle istituzioni sovranazionali, dall’UE all’ONU, del tutto impotenti di fronte alla ristrutturazione geopolitica in corso e ai conflitti conseguenti, ma fermamente vincolate a una visione economicistica incapace di novità, nasce proprio dallo schema con cui interpretano il mondo, schema che trascura la centralità dell’uomo, la storia da cui proviene, il travaglio della nazione in cui vive e la memoria storica he, attraverso le generazioni, ha creato una sensibilità e una modalità particolari con cui affrontare la vita.

Questo criterio, scrive Zamagni, non risulta adeguato perché “l’economia di mercato ha bisogno per la sua continua riproduzione di una varietà di input culturali che però non è essa stessa in grado di produrre da sola”.

Ecco allora la necessità del confronto e del dibattito (De Rita); ecco la necessità di ridare significato a parole che la politica ha reso per anni inservibili (patria, nazione, conservatorismo…). Soprattutto ecco la necessità di potersi liberamente esprimere in un contesto caratterizzato da “diverse matrici culturali (Zamagni) “che non ha ancora trovato una soluzione soddisfacente in Europa”.

In questa realtà plurale quale lo spazio e il ruolo del pensiero cattolico?

Il sociologo Franco Garelli nel citato numero di Vita e Pensiero, ritiene ancora presenti in Italia “energie vitali, feconde testimonianze e buone prassi d’ispirazione cattolica, tuttavia – il suo parere che condividiamo – è che “forse mancano figure ed esperienze ecclesiali capaci di far emergere la ricchezza della fede cristiana anche in una società come l’attuale dove lo sviluppo scientifico non ha confini, la varietà religiosa rappresenta la situazione normale, la tecnologia è ormai una protesi umana, il vissuto delle persone è sempre più accidentato e controverso”.

Forse occorrerebbe imitare il coraggio di Paolo all’Areopago, capace di proporre ai sofisticati ateniesi il centro della questione, quel significato cui l’uomo anela (“ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio”): sappiamo come andò a finire in quel caso, ma resta il metodo usato da Paolo, l’annuncio della buona notizia come origine del giudizio culturale. Nel necessario e inevitabile confronto delle culture sarà utile tenere presente quanto scrive Benedetto XVI nel suo Gesù di Nazaret “invece di dare loro Dio, il Dio vicino a noi in Cristo, e accogliere così dalle loro tradizioni tutto ciò che è prezioso e grande e portarlo a compimento, abbiamo portato loro il cinismo di un mondo senza Dio, in cui contano solo il potere e il profitto”. Si riferiva in particolare alla situazione delle culture del continente africano ma l’osservazione resta preziosa in generale: è la sfida di un umanesimo cristianamente informato per contrastare, come scrive ancora Zamagni “l’egemonia, davvero inquietante, del rivale progetto transumanista. La nuova Europa che si vuole realizzare non può prescinderne se ha da essere veramente nuova.”

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